Stress e infortuni: aumentano le partite, pagano i calciatori – Calcio

Stress e infortuni: aumentano le partite, pagano i calciatori – Calcio


MILANO — Lo scorso febbraio Raphael Varane, difensore centrale del Manchester United, campione del mondo nel 2018 e vicecampione nel 2022 con la Francia, non aveva ancora compiuto 30 anni quando motivò con dispiacere e realismo il suo addio ai Bleus: «Ho dato tutto, fisicamente e mentalmente. Il calcio al più alto livello è una centrifuga: giochi, giochi e non ti fermi mai. Io mi sento soffocare: il calciatore sta divorando l’uomo». Quelle parole, sottovalutate, erano un grido d’allarme rimasto inascoltato. I calciatori di élite sono certamente dei privilegiati, con i loro stipendi ultra milionari e i loro status di moderni eroi.

Ma il prezzo sta diventando troppo alto: il calendario si ingolfa per via delle competizioni sempre nuove, le partite senza sosta e a ritmo sempre più alto e i viaggi intercontinentali sono la regola, gli infortuni si moltiplicano, le carriere si accorciano, lo stress fisico e mentale raggiunge il livello di saturazione. Per questo, dopo l’annuncio ufficiale della Fifa sul varo nel 2025 del Mondiale per club allargato a 32 squadre, la Fifpro, il sindacato mondiale dei calciatori, ha detto che adesso è davvero troppo. E ha chiesto un incontro urgente al presidente della Fifa Gianni Infantino perché venga finalmente ascoltato l’appello degli attori di uno spettacolo che, grazie a loro è un business colossale, ma che li mette nel tritacarne in senso letterale. La difesa della Fifa è affidata però ad Arsene Wenger: «Vero, il calendario del calcio è molto fitto, ma il benessere dei giocatori negli ultimi 20 anni è aumentato notevolmente».

Sull’altro piatto della bilancia infatti ci sono ovviamente i guadagni e la popolarità: i pochi fuoriclasse, come i veterani Cristiano Ronaldo e Messi emigrati in Arabia Saudita e negli Usa per il crepuscolo della carriera e come Mbappé, Haaland, Vinicius e Bellingham attuali stelle della Champions, sono aziende in piena regola. Però il malessere generale non è più un sussurro.

Se la piattaforma della Fifpro è concreta — almeno 28 giorni di vacanze l’anno, un giorno di riposo obbligatorio a settimana, un limite alle partite consecutive senza sosta e alle trasferte a largo raggio — le singole associazioni nazionali hanno portavoce sempre più illustri, pronti a denunciare pubblicamente il problema, che soprattutto in Francia, in Inghilterra, in Italia e in Spagna non viene più trascurato. Sul tema infortuni i recenti sfoghi pubblici di Sarri e Pioli, allenatori di Lazio e Milan, non sono più isolati. Maignan, il portiere della Francia e del Milan, appare tra i più sensibili in materia. Non è l’unico.

La Fifpro ha presentato un corposo dossier cui hanno collaborato anche medici e psicologi: «Da problema urgente il caso dei calendari si è trasformato in crisi». Il Mondiale per club Fifa del 2025 è la scintilla, ma l’Uefa non resta fuori dalle accuse: nella stagione 2024-25 la Champions League nuovo formato passerà da 125 a 189 partite.

Nel 2026 il Mondiale a 48 squadre nazionali farà salire il numero delle gare da 64 a 104. Sempre nel 2024-25, col Mondiale per club, un calciatore potrebbe scendere in campo ben 89 volte, con l’aggravante dei maxi recuperi in coda alle gare che possono equivalere a fine stagione ad altre sei partite per giocatore. Le conseguenze della “cannibalizzazione del calcio” — rileva il rapporto scientifico che analizza 350 mila partite di 1800 giocatori nella scorsa stagione — sono evidenti. Nel 2022/23, l’annata del Mondiale d’inverno in Qatar, il 49% ha giocato più di 50 partite e tra chi ne ha fatte in media 2 la settimana l’incidenza degli infortuni è salita da 4 ogni 1000 ore a 25 (con percentuale particolarmente alta di guai muscolari, tendinei e alle ginocchia e alle caviglie: il 64%). Il totale è stato di più di 3000 infortuni nelle 5 principali leghe europee: 679 in Serie A.

Ci sono record tra i record. All’uruguaiano De Arrascaeta, centrocampista del Flamengo in Brasile, spetta il primato dei chilometri percorsi: 84.791. Il suddetto Varane ha giocato con lo United 8 giorni dopo la finale in Qatar. Lo spagnolo Rodri, autore del gol decisivo nella finale di Champions col Manchester City contro l’Inter, è stato impiegato, amichevoli con la Roja incluse, in 10 competizioni diverse. I raffronti col passato, cioè tra gli impegni agonistici di campioni di epoche diverse misurati alla stessa età, sono impietosi. Vinicius, talento brasiliano del Real Madrid, ha già giocato a 23 anni quasi il triplo di Ronaldinho, che nel 2005 avrebbe vinto il Pallone d’oro: 18.876 minuti contro 7607. Proporzioni analoghe valgono per i francesi Mbappé e Henry, che ha smesso in Premier League nel 2012, e per gli spagnoli del Barcellona Xavi e Pedri, tra i quali ci sono 22 anni di differenza. In Inghilterra il paragone è tra i minuti giocati prima del ventesimo compleanno da Beckham (829), da Kane (4010) e dal loro attuale erede Bellingham, che ha raggiunto i 14.445.

Mentre gli azzurri stessi hanno ventilato l’idea di 3-4 giorni di riposo garantiti in un mese, è indicativa la chiosa del presidente dell’Aic, Umberto Calcagno. A ottobre ha tirato le somme della situazione (dato emblematico: l’aumento del 6% annuo delle lesioni al crociato del ginocchio e allarme stress esteso anche agli arbitri) nella tavola rotonda organizzata con gli allenatori e oggi ribadisce il concetto: «Se la questione viene etichettata solo come sindacale è un errore grave. Gli infortuni hanno un peso sullo spettacolo e anche un costo economico per le società: per ridurne il numero può diventare inevitabile allargare le rose da 25 a 28 e valutare in futuro le 7 sostituzioni. Ma i calciatori vanno preservati: nel 2024/25 l’Inter, che farà il Mondiale per club, di fatto non si allenerà mai e giocherà ogni tre giorni. Senza contare che i nuovi ricavi del calendario intasato, mal distribuiti perché indirizzati sempre a pochi club, accentueranno il divario economico nei grandi campionati». Una sproporzione che non fa bene a uno sport il cui fascino sta soprattutto nella democrazia del risultato: non di rado Davide può battere Golia. Ma per quanto tempo ancora?



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